
Ciao Yuleisy, benvenuta su NeroGroviglio.
Prima di tutto ti andrebbe di raccontarci un po’ chi sei nel privato, prima di essere una scrittrice?
Buon giorno, grazie di questa opportunità, di presentare le mie opere su NeroGroviglio. Mi presento: sono una donna nata a Cuba e trasferita in Italia nel 1992. Qui ho trovato la mia dimensione, familiare, ho 3 figli di cui uno di 3 anni e vivo a Marzabotto, alle spalle di Bologna ad inizio Appennino. Mi sono laureata in scienze infermieristiche e Biologia, ora lavoro come infermiera presso l’Ospedale Maggiore di Bologna. Amo tantissimo leggere ma anche immergere la mia anima nella natura, facendo passeggiate. Mi ritengo una persona impegnata da un punto di vista sociale in quanto ho molto a cuore la dimensione donna e il ruolo nostro all’interno della società. Con il mio ultimo libro di poesia “Di un’altra voce sarà la paura”, dedicato alle donne vittima di violenza, ho intrapreso una campagna di sensibilizzazione, nel mio piccolo, tramite eventi letterari per cercare di invertire la tendenza di questo ignobile fenomeno.
Qual è stata l’ispirazione che ti ha spinto a diventare scrittrice.
Devo dire che fin da piccola ho sentito l’esigenza a scrivere, a elaborare le mie sensazioni in scritti. Mio padre mi ha sempre sostenuto nel non porre freni alla mia fantasia. Fin da quando ero bambina amavo giocare con i canti in rima, mio padre mi leggeva tantissime poesie, guardavo e ascoltavo molto volentieri programmi di poesia cubana, amavo la poesia tradizionale cubana, la “Décima”. Sono cresciuta leggendo e studiando tanta poesia ma anche tanto altro. Durante l’adolescenza è rimasta molto nascosta questa mia passione, che è poi esplosa in modo preponderante a partire dal 2015, quando una situazione di pericolo per la mia vita mi ha aperto gli occhi e l’anima lasciandone libero sfogo. A quel punto ho sentito la necessità di scrivere, soprattutto poesie, per comunicare, anche a me stessa tutto quello che sentivo, che era dentro di me.
Quali invece sono state le tue influenze letterarie?
Una delle mie influenze letterarie è José Lezama Lima, scrittore cubano e figura di spicco nel movimento letterario cubano, noto per il suo stile poetico complesso, simbolista e modernista, che fonde una forte componente estetica con una riflessione filosofica profonda.
Rosario Castellanos, scrittrice messicana, è una figura centrale della letteratura latinoamericana, e la sua opera esplora frequentemente tematiche di marginalità, disuguaglianza sociale e discriminazione, in particolare nei confronti delle donne e degli indigeni. La sua scrittura è profondamente radicata nella lotta per l’emancipazione femminile e nella ricerca di una voce autentica per le donne latinoamericane.
Spesso nei miei scritti apro delle riflessioni su temi esistenziali, identitari e psicologici e tratto non solo la condizione femminile, ma la solitudine e spingendomi alla ricerca di un linguaggio autentico come hanno fatto altre autrici del passato, parlo per esempio di Simone de Beauvoir, filosofa e scrittrice francese, conosciuta soprattutto per il suo saggio “Il secondo sesso” (1949), che ho divorato. Alcuni passaggi avrei voluto scriverli io.
Anche quando parlo delle gabbie delle solitudini nella mia scrittura mi viene in mente Alejandra Pizarnik, poetessa argentina, famosa per la sua scrittura intimista, malinconica e profondamente inquietante. Anche lei in maniera diversa affronta temi come la solitudine, il dolore, e la morte. Sicuramente il suo linguaggio simbolico mi ha spinta nella mia ricerca dell’assoluto e dell’origine. Per esempio nel mio ultimo libro dal titolo «Di un’altra voce sarà la paura», certi passaggi riflettono l’alienazione, la frattura tra sé e il mondo: per fare questo le mie letture sono state fondamentali. Nella ricerca di un linguaggio che esprima il non detto e l’incomprensibile mi hanno ispirato moltissimi autori, ma farei un elenco molto lungo. Affrontando il lato oscuro dell’esistenza e la difficoltà di articolare l’indicibile, oltre alla Pizarnik, mi viene in mente Silvia Plath, poetessa e scrittrice statunitense, che nella sua opera esplora la psiche femminile, la sofferenza psicologica e il conflitto con le aspettative sociali e familiari. La sua celebre opera “The Bell Jar” (1963), che ho letto due volte, esplora la sua lotta con la depressione e il senso di alienazione che provava come giovane donna. Anche le donne che subiscono violenza all’interno del mio libro spesso vivono delle sensazioni simili.
Qual è il tuo processo creativo quando scrivi qualcosa di nuovo?
Quando scrivo qualcosa di nuovo, il mio processo creativo è come una danza tra il caos e la ricerca di ordine. Spesso parto da una sensazione, una parola o un’immagine che mi colpisce improvvisamente, qualcosa che mi tormenta o che mi fa sentire un’emozione intensa. Questo punto di partenza può sembrare insignificante, ma è lì che comincia la mia esplorazione. A volte è un frammento di conversazione, altre volte è un’idea più grande che mi inquieta, ma tutto parte dal desiderio di cercare un senso, di dare forma a ciò che mi attraversa.
Non credo di avere un processo lineare. Spesso scrivo di getto, senza preoccuparmi troppo di come suona o se ha senso. La scrittura per me è anche un atto di liberazione, un modo per espellere qualcosa che mi invade. Poi, quando il testo è sulla pagina, comincia il lavoro di rifinitura: le parole vanno cesellate, riscritte, confrontate. È lì che comincia la ricerca di un equilibrio, una lotta tra il dire troppo e il dire troppo poco.
Il mio processo è anche fortemente influenzato dalla lettura. Leggo moltissimo e da autori che mi parlano in modo diretto, come Pizarnik, Plath o De Beauvoir. Le loro parole, la loro intensità emotiva, mi spingono a scavare più a fondo nelle mie emozioni e nelle mie storie. In qualche modo, la loro scrittura è una sorta di compagna di viaggio, un’eco che mi accompagna mentre cerco la mia voce.
In definitiva, il mio processo creativo non è mai solo una questione di scrivere: è un viaggio dentro me stessa, una lotta tra il caos che cerco di esprimere e il tentativo di trovare una forma, una verità che possa risuonare.
Ti va di parlarci dei tuoi libri?
Sì, mi farebbe molto piacere parlarne.
I miei libri sono il frutto di un processo lungo e complesso, in cui mi sono confrontata con le mie radici, la memoria collettiva e le questioni di identità, appartenenza e lotta. Ogni libro nasce da una necessità di comprendere meglio me stessa e il mondo che mi circonda. Cerco sempre di scrivere per andare oltre la superficie, per esplorare gli angoli più oscuri della psiche, della cultura e della storia. Ogni parola è un tentativo di tradurre le esperienze universali in un linguaggio che possa toccare qualcuno, anche se solo per un istante.
Il mio primo libro, per esempio, parla della mia terra, delle sue contraddizioni e delle sue bellezze, ma anche delle sue ferite. Mi interessa raccontare storie che non sono facilmente raccontabili, storie di chi è rimasto ai margini, di chi vive in una tensione costante tra il passato e il presente, tra il desiderio di cambiamento e la resistenza al cambiamento.
In alcuni dei miei lavori più recenti, mi sono concentrata sull’esperienza della donna, ma non solo da un punto di vista tradizionale. La donna non è solo il soggetto della lotta, ma anche la forza di resistenza. Volevo esplorare le contraddizioni che le donne vivono: sono vittime e protagoniste, fragili e forti. Ho scritto dei silenzi che circondano le nostre esperienze più intime e delle parole che finalmente rompono quel silenzio.
Mi piace giocare con il linguaggio, con le sue sfumature, e non avere paura di entrare in territori difficili. La mia scrittura è spesso densa, simbolica, ma spero che chi legge riesca a sentirne la vibrazione più profonda. In ogni libro cerco sempre di dare un pezzo di me, di mostrare la complessità della condizione umana, con tutte le sue ferite, le sue speranze, e la sua bellezza nascosta.
Ogni libro è un viaggio, un percorso di auto-scoperta che non smette mai di sorprendere neanche me stessa.
Come scegli i temi e i personaggi dei tuoi scritti?
La scelta dei temi e dei personaggi nei miei scritti nasce da un’osservazione profonda del mondo che mi circonda, ma anche da una riflessione intima e personale. I temi che scelgo sono quelli che sento più vicini alla mia esperienza e alla mia visione della realtà: l’identità, la memoria, le lotte interne ed esterne, il desiderio di comprensione e di cambiamento. Ma non scelgo mai un tema a caso, o solo perché mi sembra interessante. C’è una sorta di urgenza dentro di me che mi spinge a scrivere su determinati argomenti, un bisogno di esplorare territori che mi spaventano o che mi incuriosiscono, ma che sento di dover affrontare per capire meglio me stessa e il mondo che abito.
I personaggi che creo sono un riflesso di questo processo. Non sono mai semplicemente inventati per intrattenere. Ogni personaggio nasce da una connessione emotiva e intellettuale, quasi sempre una fusione di realtà e immaginazione. Sono spesso figure che vivono conflitti interiori forti, che sentono di essere in lotta con il mondo o con sè stessi. In qualche modo, rappresentano parti di me o parti della realtà che cerco di decifrare. Talvolta, i personaggi sono costruiti per esplorare un aspetto della condizione umana che mi interessa o mi turba: la solitudine, l’alienazione, il desiderio di cambiamento, il bisogno di appartenere a qualcosa di più grande.
Non scelgo mai un personaggio solo per il suo ruolo o per il suo archetipo. Mi piace che i miei personaggi siano complessi, sfaccettati, che abbiano luce e ombra, contraddizioni e bellezza. Voglio che siano vivi, che portino dentro di sé storie non raccontate, che siano capaci di evolversi e di sorprendere sia me che chi legge. A volte nascono da esperienze dirette, altre volte da una sintesi di storie che ascolto o che leggo. Ma ogni volta, l’obiettivo è quello di creare personaggi che non siano mai semplicemente “simboli”, ma esseri umani pieni di contraddizioni, sogni e dolori.
C’è un messaggio o un tema principale che cerchi di trasmettere attraverso le tue opere?
Sì, il tema centrale che cerco di trasmettere attraverso le mie opere è il concetto di resilienza e di ricerca di senso in un mondo che spesso ci mette di fronte a sfide che sembrano più grandi di noi. Parlo dei più deboli, della solitudine, della fragilità, perché credo che solo affrontando questi temi possiamo davvero comprendere l’essenza della nostra umanità. In molte delle mie opere, la natura e l’ecologia non sono solo uno sfondo, ma un simbolo della nostra connessione con tutto ciò che ci circonda. La natura è una metafora potente per il ciclo della vita, per la rinascita, e per la necessità di tornare alle origini, di riscoprire un equilibrio che troppo spesso perdiamo.
Il tema dell’emigrazione è anche fondamentale, perché rappresenta una ricerca di libertà, di un posto nel mondo, di un’identità che non è fissa, ma sempre in movimento. Ma in tutto ciò, il mio messaggio non è solo quello di raccontare la sofferenza. Mi interessa anche esplorare il potere della trasformazione, della capacità di rinascere, anche quando tutto sembra perduto. La solitudine, la fragilità, sono momenti in cui possiamo sentirci più vulnerabili, ma sono anche opportunità per riscoprire noi stessi e il nostro posto nel mondo.
In sostanza, attraverso le mie parole, cerco di trasmettere la possibilità di un cambiamento positivo, anche nei momenti di fragilità, e la convinzione che ognuno di noi, nel profondo, possiede la forza di trasformarsi e di ricominciare.
Qual è il rapporto con i tuoi lettori?
Il rapporto con i miei lettori è per me fondamentale e molto intimo. Quando scrivo, non lo faccio solo per me stessa, ma per connettermi con chi legge, per provare a condividere qualcosa che vada oltre le parole sulla pagina. Scrivere è un atto di comunicazione, e sento che ogni volta che qualcuno si immerge in quello che scrivo, c’è una possibilità di incontro, di scambio, anche se lontano nel tempo o nello spazio.
Non mi interessa solo che i miei lettori leggano ciò che scrivo, ma che lo sentano, che provino qualcosa di profondo e personale. Voglio che le mie parole li tocchino, li scuotano, li portino a riflettere su loro stessi, sulle loro esperienze e su ciò che li circonda. Quando sento che i lettori si sentono coinvolti, che riconoscono in ciò che ho scritto parti di sé o delle loro realtà, allora sento che il mio lavoro ha avuto un impatto.
Per me, il rapporto con i lettori non finisce quando il libro è chiuso. Anzi, in un certo senso, comincia lì, perché la lettura è sempre un processo vivo, che continua dopo aver letto, attraverso i pensieri, le discussioni, i silenzi. Ogni lettore porta la propria interpretazione, le proprie esperienze, e questo arricchisce la mia scrittura, mi fa vedere le cose sotto una nuova luce.
Qual è stato il momento più significativo della tua carriera di scrittrice?
Con le attività legate al mio ultimo libro «Di un’altra voce sarà la paura» ho partecipato a numerose iniziative, eventi per me molto significativi. Forse in assoluto l’esperienza più emozionante è stato partecipare a CasaSanremo, sia per il contesto, così nazionale che per il riconoscimento che mi hanno dato, veramente inaspettato.
Come riesci a far combaciare il tuo tempo tra la scrittura e gli altri aspetti della tua vita quotidiana?
Premetto che scrivere per me è come respirare, un bisogno primario… Utilizzo il cellulare perché è sempre con me e nel momento in cui ho una ispirazione, o qualcosa colpisce il mio sentire, ho la necessità di scriverlo, di renderlo visibile… per me ma anche per gli altri. Quasi tutto quello che scrivo lo condivido tramite un libro, tramite un articolo o un post da pubblicare sui social o qualche blog letterario. Detto questo, avendo una famiglia e una casa, ma anche un lavoro che per fortuna è part-time, sono costretta a fare i salti mortali per passare da una cosa all’altra, soprattutto per far crescere il mio piccolo che ha 3 anni. Ho comunque un compagno, il padre del mio piccolo. che pur lavorando a 150 Km di distanza quando torna quasi tutte le sere, mi aiuta nelle faccende domestiche e mi supporta nella mia passione sia moralmente che in pratica. E comunque stabilisco delle priorità per cui oggi mi occupo di una cosa e domani di un’altra cercando di portare a compimento tutto il possibile. Non nego che a fine giornata sono stanca e spesso demoralizzata, ma ho comunque un riferimento preciso che è lo scrivere…
Hai qualche rituale o abitudine particolare che segui prima di metterti a scrivere?
Sì, ho alcune piccole abitudini che mi aiutano a entrare nel giusto stato d’animo prima di scrivere. Non sono rituali rigidi, ma momenti che mi permettono di creare un’atmosfera di calma e concentrazione.
Prima di tutto, cerco di ritagliarmi un po’ di tempo per me stessa, lontano dalle distrazioni. La scrittura richiede un certo silenzio interiore, un’attenzione piena, quindi spesso mi allontano dal trambusto quotidiano, magari cercando un angolo tranquillo dove posso concentrarmi. Ho anche bisogno di un certo spazio fisico, uno che mi faccia sentire a mio agio. Può essere una scrivania, ma anche un angolo della casa dove mi sento al sicuro, come se quel posto fosse solo mio, un rifugio per le parole.
Quali sono i tuoi obiettivi futuri come scrittrice?
Forse un saggio, che è già in cantiere, o forse un romanzo che è solo in testa per ora, ma sicuramente poesia e più poesia, finché io riuscirò a toccare la convergenza, la folgorazione, la respirazione stellare delle parole, finché i miei pensieri saranno abitati da pianeti sconosciuti, mettendo in evidenza il sortilegio, la respirazione delle immagini. Finché a ogni ispirazione nascerà in me un nuovo quesito e finché non finisce l’interrogazione ad ogni aspirazione o ispirazione di quell’oscuro che cerca chiarezza nella parola, sentirò necessaria la poesia.
Perché i lettori dovrebbero leggere i tuoi libri?
I miei libri sono il frutto di un processo lungo e complesso, in cui mi sono confrontata con le mie radici, la memoria collettiva e le questioni di identità, appartenenza e lotta. Ogni libro nasce da una necessità di comprendere meglio me stessa e il mondo che mi circonda. Cerco sempre di scrivere per andare oltre la superficie, per esplorare gli angoli più oscuri della psiche, della cultura e della storia. Ogni parola è un tentativo di tradurre le esperienze universali in un linguaggio che possa toccare qualcuno, anche se solo per un istante.
Il mio primo libro, per esempio, parla della mia terra, delle sue contraddizioni e delle sue bellezze, ma anche delle sue ferite. Mi interessa raccontare storie che non sono facilmente raccontabili, storie di chi è rimasto ai margini, di chi vive in una tensione costante tra il passato e il presente, tra il desiderio di cambiamento e la resistenza al cambiamento.
In alcuni dei miei lavori più recenti, mi sono concentrata sull’esperienza della donna, ma non solo da un punto di vista tradizionale. La donna non è solo il soggetto della lotta, ma anche la forza di resistenza. Volevo esplorare le contraddizioni che le donne vivono: sono vittime e protagoniste, fragili e forti. Ho scritto dei silenzi che circondano le nostre esperienze più intime e delle parole che finalmente rompono quel silenzio.
Mi piace giocare con il linguaggio, con le sue sfumature, e non avere paura di entrare in territori difficili. La mia scrittura è spesso densa, simbolica, ma spero che chi legge riesca a sentirne la vibrazione più profonda. In ogni libro cerco sempre di dare un pezzo di me, di mostrare la complessità della condizione umana, con tutte le sue ferite, le sue speranze, e la sua bellezza nascosta.
Ogni libro è un viaggio, un percorso di auto-scoperta che non smette mai di sorprendere neanche me stessa.
Chi è il tuo autore o autrice preferita?
Se dovessi scegliere un’autrice che mi ha profondamente influenzato, credo che direi Alejandra Pizarnik. La sua poesia, intrisa di un’intensità e di una sensibilità straordinarie, mi ha sempre colpito per la sua capacità di scavare nel profondo dell’animo umano, nel dolore e nella solitudine, ma anche nella bellezza fragile delle emozioni. La sua scrittura, spesso oscura e potente, è un continuo interrogarsi sull’esistenza, sul silenzio, sulla morte, temi che sono anche al centro della mia riflessione.
Se parliamo di Nietzsche, la sua filosofia dell’individuo, dell’autosuperamento e della lotta per il significato dell’esistenza è qualcosa che sento molto vicino a quello che cerco di esprimere nella mia scrittura. La sua visione dell’uomo come essere in continua evoluzione, in perenne lotta contro sè stesso e contro il mondo che lo circonda, è qualcosa che trovo presente anche nei miei personaggi e nei temi che tratto. Nietzsche mi ha insegnato a non temere il caos, a vedere nella fragilità una forza nascosta, e a guardare alla solitudine come a un’opportunità di crescita, un tema che spesso esploro nella mia scrittura.
Ma, parlando di poesia e di letteratura, non posso dimenticare Virginia Woolf. La sua capacità di esplorare la psiche umana, il flusso dei pensieri e delle emozioni, il suo sguardo profondo sull’esistenza femminile e sull’alienazione, sono temi che ritrovo molto nella mia scrittura. E anche autori come Franz Kafka e Clarice Lispector, che sono maestri nell’esplorazione dell’introspezione, dell’esistenza e dei paradossi della condizione umana, hanno avuto una forte influenza su di me.
Per me, la letteratura è un modo per entrare in contatto con le sfumature più nascoste dell’animo umano, per cercare risposte, ma anche per fare delle domande che non sempre hanno risposte facili. L’autrice o l’autore che preferisco è chi riesce a portare la scrittura oltre il convenzionale, a cercare quella verità profonda che spesso si nasconde nelle pieghe del nostro essere.
Qual è il tuo libro preferito?
«La casa degli spiriti» di Isabel Allende, che adoro per il modo in cui mescola il realismo magico con le complesse dinamiche familiari e sociali. La sua scrittura è ricca di passione, di memoria storica e di riflessioni sulla condizione delle donne, temi che mi toccano molto. Un altro libro che considero fondamentale è «Cent’anni di solitudine» di Gabriel García Márquez, uno dei miei autori preferiti. La sua capacità di raccontare storie che attraversano generazioni, che mescolano il fantastico con il quotidiano, e di dipingere l’anima dell’America Latina con una penna magistrale è qualcosa che mi ha sempre affascinato. La solitudine, l’amore, la morte e la memoria: sono temi universali, ma Márquez riesce a trattarli con una profondità che mi emoziona ogni volta che lo leggo.
In definitiva, i miei libri preferiti sono quelli che mi fanno riflettere, che mi permettono di esplorare il mondo e la condizione umana da angolazioni diverse, quelli che riescono a mescolare la bellezza della parola con il potere di suscitare emozioni e pensieri profondi.
Grazie per essere stata con noi. Buona vita.
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